La tiroidite di Hashimoto, anche detta tiroidite linfocitaria cronica, è una malattia autoimmune che provoca infiammazione alla tiroide.
La tiroide è una ghiandola che fa parte del sistema endocrino, il suo scopo è quello di produrre ormoni che vengono rilasciati nel sangue. La tiroide si trova davanti alla laringe ed è caratterizzata dalla sua tipica forma a farfalla. In particolare la tiroide produce due ormoni – T3 e T4- che aiutano a regolare il metabolismo. Ma questi due ormoni sono profondamenti legati anche al buon funzionamento del cuore; alla temperatura corporea, alla forza muscolare e ai cicli mestruali. Questi ormoni a loro volta sono regolati dal TSH, ormone secreto dall’ipofisi, ghiandola che si trova nel cervello.
In caso di tiroidite di Hashimoto, il sistema immunitario, per ragioni non ben chiare, smette di funzionare correttamente a difesa dell’organismo e lo attacca, producendo anticorpi che distruggono i follicoli tiroidei. Questo provoca infiammazione alla tiroide che non secerne più la giusta quantità degli ormoni T3 e T4, utili alla gestione delle energie nel corpo del malato. Continua a leggere dopo la foto
I soggetti maggiormente colpiti sono le donne, che si ammalano 4 o 5 volte in più rispetto agli uomini. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 50 anni.
La tiroidite di Hashimoto è la causa più comune di ipotiroidismo: la persistente aggressione da parte del sistema immunitario causa la distruzione del tessuto fisiologico della ghiandola e l’ipotiroidismo cronico.
Ma come si fa a riconoscere? Nelle fasi iniziali, non sempre il paziente manifesta disturbi precisi, ma, col passare del tempo, i segni e i sintomi di questa infiammazione diventano più evidenti. Il primo sintomo è il gozzo, ovvero l’aumento di volume della tiroide. Questa in genere non è visibile a occhio nudo ma, in certi casi, può aumentare parecchio di dimensione e interferire con la respirazione e la deglutizione. Continua a leggere dopo la foto
Altri sintomi rilevanti possono essere una stanchezza continua già nelle prime ore del mattino, spossatezza, tendenza a ingrassare o difficoltà a dimagrire, sbalzi di umore improvvisi e depressione, frequenti mal di testa, battito cardiaco lento e dolori alle articolazioni e a i muscoli.
Durante la gravidanza, l’ipotiroidismo può essere causa di aborto spontaneo, parto prematuro o aumento improvviso e pericoloso della pressione alla fine della gestazione. Una buona cura farmacologica permette però alle donne, in collaborazione col proprio medico, di poter prevenire queste brutte complicazioni.
A oggi non è ancora chiaro il perché il sistema immunitario si comporti in questo modo ma è stata riconosciuta una certa familiarità; il rischio di contrarre la malattia cioè sembra aumentare se altre persone della famiglia ne sono colpite. Continua a leggere dopo la foto
Tra i fattori di rischio ci sono elementi ambientali e chimici che agiscono su soggetti già predisposti alla malattia. Alcuni studi hanno riscontrato, per esempio, che la carenza di selenio o l’eccessiva assunzione di iodio, lo stress ed il fumo aumentano la possibilità di contrarre la malattia. Stesso dicasi di alcuni pesticidi, di alcuni farmaci e di certe infezioni virali.
La diagnosi non è per niente facile. Sono necessari esami del sangue specifici, per valutare l’entità dei livelli di alcuni ormoni che possono confermare l’ipotiroidismo e di alcuni anticorpi antitiroidei. L’endocrinologo potrà poi prescrive anche esami diagnostici come un’ecografia tiroidea che fotografi la dimensione della tiroide e la disomogeneità dei tessuti, o una TAC.
E la cura? Quando non vi è ipotiroidismo conclamato può essere sufficiente un monitoraggio della progressione del gozzo. In presenza di ipotiroidismo si rende invece necessaria l’assunzione di ormoni tiroidei sintetici che non curano in maniera definitiva ma aiutano a tenere sotto controllo i sintomi.
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