Il termine cohousing nasce in Scandinavia negli anni Sessanta, per definire un modello di insediamento composto da abitazioni private corredate da ampi spazi destinati all’uso comune e alla condivisione. Si tratta di comunità composte da 20/40 unità abitative, solitamente, a differenza degli eco villaggi, non legate da una particolare ideologia o religione.
Nella coabitazione, ogni nucleo familiare possiede la propria indipendenza, sia da un punto di vista economico che della propria visione della vita. D’altro canto nessuno nega al vicinato elettivo di un progetto di cohousing di costituire gruppi d’acquisto solidale, di condividere l’auto, di favorire il risparmio energetico se l’hanno deciso liberamente e di comune accordo.Chi vi abita, infatti, ha sentito solo l’esigenza di creare, insieme ad amici e conoscenti, una comunità più sicura dove vivere e poter far crescere i propri figli, senza strutture gerarchiche. Anche se non è nata come soluzione direttamente connessa al risparmio energetico, si sta affermando come strategia di sostenibilità: se da un lato, infatti, la progettazione partecipata e la condivisione di spazi, attrezzature e risorse agevola la socializzazione e la mutualità tra gli individui, dall’altro questa pratica, unitamente ad altri “approcci” quali ad esempio la costituzione di gruppi d’acquisto solidale, il car-sharing o la localizzazione di diversi servizi, favoriscono il risparmio energetico e diminuiscono l’impatto ambientale della comunità.
Le parole chiave del cohousing sono partecipazione, socialità, risparmio economico: l’obiettivo è quello di unire i vantaggi di un’abitazione privata, con la sua autonomia e la sua privacy, a quelli di condivisione di una serie di risorse e di spazi comuni, che vanno dalla lavanderia alla palestra, fino all’asilo nido e alla condivisione dell’automobile. Dal punto di vista più strettamente architettonico, il sistema di cohousing parte da una preliminare fase di individuazione dei possibili partecipanti e non, come nell’edilizia residenziale tradizionale, dalla vendita di un certo numero di unità abitative. In questo modo si capovolge letteralmente lo schema classico: la progettazione diventa la seconda fase, durante la quale tutti i futuri abitanti e l’architetto possono discutere per dare alla propria cohouse la forma desiderata.
Anche in Italia ha iniziato a muoversi qualcosa a riguardo: in Umbria, a Terni, un prototipo è stato costruito dall’architetto Giancarlo De Carlo. Inoltre, il politecnico di Milano nel 2006 ha effettuato degli studi statistici sui residenti della città e dell’hinterland, interrogandoli sulla loro predisposizione al cohousing: da ciò è emerso che, in una realtà urbana esplosa come quella odierna, l’individuo si trova in condizione di assoluto bisogno di comunità e di risparmio economico ed energetico.
Dal 2010 si è costituita una rete nazionale per il cohousing dotata di un proprio manifesto che mette in collegamento numerose associazioni e gruppi spontanei di cohousers intenzionati a:
- Far rete tra le realtà esistenti in Italia, al fine di creare un soggetto in grado di interfacciarsi validamente con le istituzioni, con particolare riferimento alla necessità di impegnare Enti pubblici, istituzioni locali e sedi nazionali al riconoscimento di tale forma abitativa attraverso specifici strumenti normativi e legislativi.
- Pervenire ad una formalizzazione della Rete nazionale che possa facilitare gli scambi tra persone, gruppi e associazioni e consentire: visibilità alle attività svolte attraverso gli usuali strumenti informatici (sito internet, network, forum ecc.); creazione più agevole di nuovi gruppi attraverso informazioni e scambi in rete; sinergie interregionali tra i gruppi anche al fine di sostenere attività locali, percorsi formativi congiunti, iniziative pubbliche ecc.; sostegno alla realizzazione concreta di strutture di cohousing attraverso consulenze volontarie di cui potrebbe fornirsi la Rete (architetti, ingegneri, giuristi ecc.).
- Realizzare iniziative pubbliche a carattere nazionale in grado di sollecitare anche i canali informativi mediatici.
Forse in Italia siamo ancora un po’ lontani da questa realtà ma sarebbe cosa molto positiva creare tanti ecovillaggi per sostenere le persone e l’ambiente.
Per saperne di più è utile consultare il sito della rete nazionale per il cohousing www.cohousingitalia.it in cui sono presenti numerosi approfondimenti sul tema, oltre che una nutrita lista di progetti di cohousing presenti in Italia, in Europa e nel Mondo. Nella sezione link sono disponibili anche una serie di contatti italiani e internazionali di associazioni e enti che si occupano di progetti di coabitazione.